domenica 11 novembre 2012

Giornata di settore Fossano-Savigliano


Noi due in movimento
Alcuni spunti tratti dalla relazione dei coniugi Volpini
Giornata di settore Èquipe Notre Dame Fossano-Savigliano  (11/11/2012)

Maria Carla e Carlo Volpini raccontano la loro esperienza di 17 anni di servizio in èquipe Italia, quindi responsabile èquipe satellite ERI, quindi responsabili èquipe Internazionale partendo dai numerosi viaggi che hanno effettuato.
Viaggiare è mettersi in movimento...   Il viaggio come metafora della vita….
Ogni cosa è un piccolo o grande viaggio, è un muoversi verso un obiettivo.
“Ogni situazione nuova è un cammino aperto”…
L’importante è mettersi in viaggio con disponibilità a cogliere le novità.

1.        In movimento….  abbiamo visto

Vangelo: Il buon samaritano
Vedere = andare oltre le cose (Il buon samaritano “lo vide”… quanti invece prima passarono e non videro?)
I briganti della parabola sono le difficoltà, i limiti, le tentazioni nella nostra vita
Etimologia della parola vedere: distinguere, discernere
Vedere è un movimento dell’anima  
“Non solo vedere con gli occhi, ma vedere con lo Spirito… vedere oltre”
Aneddoto: a Lourdes coppie di equipe del Libano e della Siria non si parlavano
Il 24/10/2009 a Beirut si svolge il primo incontro END libanesi e siriane…   “Conoscere per amare”

2.       In movimento….  abbiamo ascoltato

Vangelo: la guarigione del nato cieco e sordo
Effatà… Apriti
L’importanza del contatto fisico
Aneddoto: in Angola la povera ragazza madre di 5 bambini ha voluto mangiare con i Volpini… un figlio è stato chiamato Caffarel…
Le End in Angola sono riferimento per la Chiesa locale.

3.       In movimento….  abbiamo incontrato

Vangelo: la guarigione della donna emorragica
Incontrare = inciampare, andare a sbattere
“Non rimaniamo alla finestra della vita”
La nostra vita si costruisce anche attraverso la vita degli altri.
Gennaio 2003: incontro con Giovanni Paolo II
Luglio 2010: Bogotà, incontro con le END del Sudamerica

4.       In movimento….  abbiamo riflettuto

I Volpini: cresciuti entrambi all’ombra del cupolone, con il ’68 la fede, i valori, ecc. sono entrati in crisi.
Pe. Timothy Racliff:  “Roma è una bella città, purtroppo c’è il Vaticano e per i preti è meglio starne lontani…!”
Tuttavia nel ’71 si sono sposati, due mesi dopo sono entrati in END -  Roma 25 (anche se non proprio in modo del tutto volontario)
END come movimento di formazione, non di appartenenza.
Anche se Appartenenza significa ad pertinere…. “andare verso qualcosa che ci riguarda”

“Il fluire della vita esige un’apertura capace di lasciar passare ciò che riceviamo”

Ciò che riceviamo non è nostro…. Lo riceviamo per farne dono…

mercoledì 24 ottobre 2012

CRISI: LA FAMIGLIA PAGA PER TUTTI



«In questi ultimi tre Governi siamo passati dal Ministero per la famiglia al Sottosegretariato per la famiglia per arrivare alla semplice delega per la famiglia. La famiglia, nei fatti perché a parole si fanno tante promesse, per i politici conta davvero poco. Non è in cima ai loro interessi», ha detto don Antonio Sciortino, direttore di Famiglia Cristiana, introducendo i lavori di stamattina. Una constatazione che non si ferma ai nomi ma incide nella sostanza delle cose: «Nonostante la famiglia sia il principale ammortizzatore sociale di tante inadempienze dello Stato, a cominciare dall’assistenza agli anziani e alle persone con handicap, si scarica sui bilanci della famiglia il pesante costo della crisi economica», ha infatti aggiunto, ricordando poi che, come scriveva oggi su Il Corriere della sera Maurizio Ferrera , sono ormai tre milioni e mezzo le famiglie senza beni essenziali per condurre una vita dignitosa. Il direttore, pur lodandone l’azione anche a livello internazionale, non ha risparmiato critiche all’attuale governo riguardo alle politiche familiari: «Occorre un nuovo patto tra Stato e famiglia, fondato sulla fiducia e sulla considerazione che la famiglia ha un forte ruolo di coesione sociale», ha infine auspicato.


venerdì 19 ottobre 2012

La Chiesa italiana e le prospettive del paese

documento del 23.10.1981 !

ripartire dagli ultimi”, segno drammatico della crisi attuale … Gli impegni prioritari sono quelli che riguardano la gente tuttora priva dell’essenziale: la salute, la casa, il lavoro, il salario familiare, l’accesso alla cultura, la partecipazione...

La crisi in corso non si risolverà a brevi scadenze, né possiamo attendere soluzioni miracolistiche. Conosceremo ancora per molto tempo le contraddizioni di carattere socio-economico, le minacce della violenza e del terrorismo, la precarietà delle strutture pubbliche, la fatica di costruire l’Europa, i rischi per la pace internazionale, il dramma della fame nel mondo. Dovremo pertanto imparare a vivere nella crisi con lucidità e con coraggio, non per adagiarci rassegnati nella situazione, ma per disporci tutti a pagare di persona. Questa prevedibile fatica ha bisogno di forte vigore morale. Il consumismo ha fiaccato tutti. Ha aperto spazi sempre più vasti a comportamenti morali ispirati solo al benessere, al piacere, al tornaconto degli interessi economici o di parte. Lo smarrimento prodotto da simile costume di vita pesa particolarmente sui giovani, intacca il ruolo della famiglia e indebolisce il senso della corresponsabilità, tre dei cardini portanti di un sicuro tessuto sociale. Si tratta oggi di andare con decisione controcorrente e di porre sui valori morali le premesse di una organica cultura di vita.

INCREDIBILE... SONO PASSATI 31 ANNI E SIAMO NELLA STESSA SITUAZIONE  

martedì 9 ottobre 2012

Prossima END

sabato 20 ottobre ore 18

Tema di Studio: Eucaristia per la Vita quotidiana

Capitolo 2: Dov'è la stanza dove possiamo mangiare la Pasqua (pgg. 18-27)

riflessioni da inviare entro domenica 14 alla coppia che ospita l'end (vedere calendario)

venerdì 5 ottobre 2012

Il rilancio passa dalla famiglia


Dal Consiglio permanente della CEI

Il «reticolo di corruttele e di scandali», che attraversa la classe politica e motiva indignazione e ostilità nella cittadinanza, ha portato i membri del Consiglio Permanente a lamentare la distanza tra l’Italia dei “furbi” e quella degli onesti. 
La tradizione culturale del Paese è enorme – hanno rilevato – ma si stenta a vederne in atto le ricadute; prevale la demagogia delle opinioni, mentre si fatica a formare le coscienze di quei credenti che si sono volti all’impegno politico e che necessitano di essere sostenuti anche nella vita spirituale, perché questa ispiri loro comportamenti coerenti. Si avverte la necessità di un nuovo patto sociale, a partire dalla riscoperta di ragioni vere e condivise che possano far vivere insieme una vita buona e virtuosa.
Il confronto all’interno del Consiglio ha permesso di focalizzare la drammatica situazione in cui tanta gente ormai vive: precariato, disoccupazione, aziende in forti difficoltà, insolvenza da parte di enti locali. La realtà che porta il peso maggiore della crisi rimane la famiglia, principale ammortizzatore sociale e condizione del possibile rilancio del Paese. Per questo il Consiglio Permanente rimarca l’urgenza di politiche fiscali che la tutelino, riconoscendole, ad esempio, libertà educativa e, quindi, un maggiore sostegno alla scuola, compresa quella paritaria. Specie attraverso le Caritas, si conferma il volto di una Chiesa vicina e solidale, riferimento credibile anche nella proposta di stili di vita sobri ed essenziali. 

giovedì 20 settembre 2012

Il vero dono non vuole la reciprocità


Un gesto eversivo, che nasce dalla libertà e accende una relazione non generata dall'utilitarismo
di ENZO BIANCHI (La Stampa 16/09/2012)

Esiste ancora il dono, oggi? In una società segnata da un accentuato individualismo, con i tratti di narcisismo, egoismo, egolatria che la caratterizzano, c’è ancora posto per l’arte del donare? Ecco una domanda a mio avviso decisiva: nell’educazione, nella trasmissione alle nuove generazioni della sapienza accumulata, c’è attenzione al dono e all’azione del donare come atto autentico di umanizzazione? C’è la coscienza che il dono è la possibilità di innescare i rapporti reciproci tra umani, qualunque poi sia l’esito?

Da una lettura sommaria e superficiale si può concludere che oggi non c’è più posto per il dono ma solo per il mercato, lo scambio utilitaristico, addirittura possiamo dire che il dono è solo un modo per simulare gratuità e disinteresse là dove regna invece la legge del tornaconto. In un’epoca di abbondanza e di opulenza si può addirittura praticare l’atto del dono per comprare l’altro, per neutralizzarlo e togliergli la sua piena libertà.

Si può perfino usare il dono - pensate agli «aiuti umanitari» - per nascondere il male operante in una realtà che è la guerra. Questa ambiguità che pesa sul donare e può pervertirne il significato non è nuova: già nell’antichità si diceva «Timeo Danaos et dona ferentes», «Temo i Greci anche quando portano doni»... Ma c’è pure una forte banalizzazione del dono che viene depotenziato e stravolto anche se lo si chiama «carità»: oggi si «dona» con un sms una briciola a quelli che i mass media ci indicano come soggetti - lontani! - per i quali vale la pena provare emozioni...

Dei rischi e delle possibili perversioni del dono noi siamo avvertiti: il dono può essere rifiutato con atteggiamenti di violenza o nell’indifferenza distratta; il dono può essere ricevuto senza destare gratitudine; il dono può essere sperperato: donare, infatti, è azione che richiede di assumere un rischio. Ma il dono può anche essere pervertito, può diventare uno strumento di pressione che incide sul destinatario, può trasformarsi in strumento di controllo, può incatenare la libertà dell’altro invece di suscitarla. I cristiani sanno come nella storia perfino il dono di Dio, la grazia, abbia potuto e possa essere presentato come una cattura dell’uomo, un’azione di un Dio perverso, crudele, che incute paura e infonde sensi di colpa.

Situazione dunque disperata, la nostra oggi? No! Donare è un’arte che è sempre stata difficile: l’essere umano ne è capace perché è capace di rapporto con l’altro, ma resta vero che questo «donare se stessi» - perché di questo si tratta, non solo di dare ciò che si ha, ciò che si possiede, ma di dare ciò che si è - richiede una convinzione profonda nei confronti dell’altro.

Donare significa per definizione consegnare un bene nelle mani di un altro senza ricevere in cambio alcunché. Bastano queste poche parole per distinguere il «donare» dal «dare», perché nel dare c’è la vendita, lo scambio, il prestito. Nel donare c’è un soggetto, il donatore, che nella libertà, non costretto, e per generosità, per amore, fa un dono all’altro, indipendentemente dalla risposta di questo. Potrà darsi che il destinatario risponda al donatore e si inneschi un rapporto reciproco, ma può anche darsi che il dono non sia accolto o non susciti alcuna reazione di gratitudine.

Donare appare dunque un movimento asimmetrico che nasce da spontaneità e libertà. Perché? Possono essere molti i tentativi di risposta, ma io credo che il donare sia possibile perché l’uomo ha dentro di sé la capacità di compiere questa azione senza calcoli: è capax boni, è capax amoris, sa eccedere nel dare più di quanto sia tenuto a dare. È questa la grandezza della dignità della persona umana: sa dare se stesso e lo sa fare nella libertà! È l’homo donator. Certo, c’è un rischio da assumere nell’atto del donare, ma questo rischio è assolutamente necessario per negare l’uomo autosufficiente, l’uomo autarchico. E se il dono non riceve ritorno, in ogni caso il donatore ha posto un gesto eversivo: attraverso il donare ha acceso una relazione non generata dallo scambio, dal contratto, dall’utilitarismo. Ha immesso una diastasi nelle relazioni, nei rapporti, fino a porre la possibilità della domanda sul debito «buono», cioè il «debito dell’amore» che ciascuno ha verso l’altro nella communitas. Sta scritto, infatti: «Non abbiate alcun debito verso gli altri se non quello dell’amore reciproco» (Rm 13,8).

La prima possibilità del dono avviene attraverso la parola: parola donata, data all’altro. Oggi siamo forse meno consapevoli di cosa significhi «dare la parola, donare la parola», ma il dono della parola è il sigillo sulla fiducia, sul credere negli altri. Senza fede negli altri non c’è cammino di umanizzazione, ma l’eloquenza della fiducia è proprio il donare la parola, che è promessa e accensione di responsabilità verso l’altro. Nelle più quotidiane e autentiche «storie d’amore», proprio perché l’incontro diventi storia, perché l’attimo diventi tempo, occorre la parola data, la promessa.

Ma dal dono della parola si deve tendere, attraverso una serie di atti di dono, al dono della vita. Questo dono estremo è possibile là dove un uomo o una donna hanno ragioni per cui vale la pena dare la vita, spendere la vita, dedicare tutta una vita a... Sono le stesse ragioni per cui vivono, per le quali la loro vita trova senso. Dare la propria vita è però l’operazione più difficile, che urta contro le nostre fibre e il nostro senso di autoconservazione. Noi siamo abitati dalla pulsione biologica a vivere, a ogni costo, anche senza gli altri e magari contro gli altri... Ma ecco la possibilità di dare noi stessi, la nostra vita per gli altri. Non c’è via intermedia.

La tentazione dell’uomo è quella di dare, piuttosto che se stesso, altre cose a lui estranee: è la logica dei sacrifici offerti a Dio... Ma quello non è un dono, ed è significativo che nel cristianesimo la sola offerta possibile sia quella di se stessi, del proprio corpo, della propria vita per gli altri. Si tratta di non sacrificare né gli altri né qualcosa, ma di dedicarsi, mettersi al servizio degli altri affermando la libertà, la giustizia, la vita piena. Ma cosa significa donare se stessi? Significa dare la propria presenza e il proprio tempo, impegnandoli nel servizio all’altro, chiunque sia, semplicemente perché è un uomo, una donna come me, un fratello, una sorella in umanità. Dare la propria presenza: volto contro volto, occhio contro occhio, mano nella mano, in una prossimità il cui linguaggio narra il dono all’altro.

Ma il dono all’altro - parola, gesto, dedizione, cura, presenza - è possibile solo quando si decide la prossimità, il farsi vicino all’altro, il coinvolgersi nella sua vita, il voler assumere una relazione con l’altro. Allora, ciò che era quasi impossibile e comunque difficile, faticoso, diviene quasi naturale perché c’è in noi, nelle nostre profondità la capacità del bene: questa è risvegliata, se non generata, proprio dalla prossimità, quando cessa l’astrazione, la distanza, e nasce la relazione.

C’è una parola di Gesù - non riportata nei Vangeli, ma ricordata dall’apostolo Paolo nel suo discorso a Mileto riferito negli Atti degli apostoli - che è molto eloquente: «C’è più gioia nel donare che nel ricevere». Esperienza reale di chi sa farsi prossimo avvicinandosi all’altro perché l’altro, anche quando avesse il volto del lebbroso, se è visto faccia a faccia, chiede alle nostre viscere di soffrire insieme, chiede la compassione, chiede il dono della presenza e del tempo, chiede il dono di noi stessi. L’atto del donare provoca gioia al donatore perché è un atto concreto che lega il donatore al cosmo, all’altro: è un atto percepito come speranza di comunione. L’accumulazione che non conosce la logica del dono, invece, accresce sempre la dipendenza dalle cose e separa l’uomo dall’uomo, l’uomo dagli altri. Non c’è vera gioia senza gli altri, come è vero che non c’è speranza se non sperando insieme. Ma la speranza è frutto del donare, della condivisione, della solidarietà.

In questo donare e ricevere, proprio perché l’azione è oltre la giustizia che si nutre delle regole dell’eguaglianza, si fa spazio l’amore che è ispirato dalla sovrabbondanza, come dice Paul Ricoeur, appare cioè il «buon debito dell’amore». L’azione del dare la parola, del donare le cose espropriandole da se stessi, del dare la presenza e il tempo non chiede restituzione, ma richiede che l’iniziativa del dono sia proseguita, continuata. Il donare non può essere sottoposto alla speranza della restituzione, di un obbligo che da esso nasce, ma lancia una chiamata, desta una responsabilità, ispira il legame sociale. Il debito dell’amore regge la logica donativa alla quale è peculiare il carattere della gratuità, l’assenza della reciprocità. Com’è vera la parola di Gesù sull’arte del dono: «Non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra» (Mt 6,3)! Ogni vita umana è istituita dal debito dell’amore, grazie al quale l’altro è colui del quale si è responsabili, una persona che, una volta incontrata, ha diritto a essere destinataria dell’amore in virtù della prossimità che si è creata.

sabato 8 settembre 2012

Fame di futuro

newsletter dell'Equipe Notre Dame NordOvest A di settembre 2012

“Tutti dovremmo occuparci del futuro, perché là dobbiamo passare il resto della nostra vita”
Charles F.Kettering

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